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Alla ricerca di storie – Intervista a Samuele Canestrari

Libri Somari è un’autoproduzione italiana che in pochi anni di attività ha dato alle stampe una manciata di libri di altissimo livello, accomunati da un’ambiziosa ricerca sul segno, una notevole cura grafica e soprattutto un intenso desiderio di narrare, mischiando e attingendo liberamente ai linguaggi dell’illustrazione, del fumetto e del cinema d’animazione.
Ecco un’intervista a Samuele Canestrari, che con Ahmed Ben Nessib ha creato e porta avanti Libri Somari.

di Nicola D’Agostino

Chi è Samuele Canestrari? Che studi ha fatto?
Sono nato a Fano, ho 23 anni e sono diplomato alla Scuola del Libro di Urbino, dove ho frequentato anche il corso di perfezionamento.
Mia madre voleva che studiassi al Liceo Classico. A me non è mai piaciuto studiare, cioè non ho mai capito come farlo. Mi sembrava invece che il disegnare mi chiamasse e ho voluto fare il Liceo Artistico. Da quando ho imparato a leggere da grande volevo fare o il fumettista o il calciatore. La scuola per i calciatori non c’è. Quella per i fumettisti, nelle Marche, è la Scuola del Libro.
Ora abito a Modigliana (FC) perché la questione era: o vado in una grande città oppure vado veramente in un piccolo paese, e così ho scelto la seconda cosa.

Nel maggio 2017 è uscito il primo (e unico) numero di “Cavallino”, rivista di disegni inframmezzati da testi, a cui hai partecipato. Raccontaci l’esperienza e come ti ha portato a creare Libri Somari.
Castelcavallino (PU) è un borgo di venti case a pochi chilometri da Urbino, con una piazza dalle dimensioni di un parcheggio per tre automobili. Durante gli studi non potevo permettermi un affitto ad Urbino e quindi sono andato ad abitare in questo borgo, dove gli affitti costano molto meno. Con il senno di poi credo che avessi già cominciato ad interrogarmi sulla questione del luogo in cui si abita. Avevo voglia di provare a stare in un posto piccolo, protetto e circoscritto.

Ammetto che non so bene come si chiami la rivista. Non so se sia Cavallino o CavallinoRivista, con il gioco di parole tra rivista fisica e rivista nel senso di “vista nuovamente”. Ci siamo ritrovati a Cavallino in sette, tutti compagni di classe alla Scuola del Libro. Avevamo tanti disegni ma nessun progetto effettivo. Mossi dalla paura che questi disegni “marcissero” nelle nostre cartelline abbiamo deciso di montarli insieme, come quando hai tante ore di girato e devi fare un film. CavallinoRivista è nata così, praticamente nel corso di una settimana.
Ci siamo radunati una sera e abbiamo steso sul pavimento tutte le sequenze di disegni. Noemi Gurioli aveva delle brevi storie che calzavano magicamente a pennello tra una sequenza e l’altra. È una pubblicazione nata grazie a necessità differenti che hanno trovato in essa un primo appagamento ma che poi, nel momento di concretizzare il secondo numero, si sono rivelate troppo distanti.

In Cavallino c’è anche Ahmed Ben Nessib, con cui hai fondato Libri Somari. Come è nata l’intesa?
Ahmed ed io ci conosciuti a Urbino alla fine del primo anno di perfezionamento. Ci siamo incontrati di sfuggita e ci siamo rivisti solo dopo tre mesi a Cavallino… ci siamo “trovati”, soprattutto sull’idea che abbiamo in comune del disegno, della palestra che esso rappresenta, dell’esercizio giornaliero che implica.

Perché avete fondato Libri Somari? Avete proposto i vostri libri a degli editori?
Non ci siamo posti il problema.
Volevamo uscire dal guscio. Quando abbiamo avuto il pdf dei nostri primi libri li abbiamo pubblicati.
Non penso che l’autoproduzione sia il trampolino di lancio per un autore verso una casa editrice. Sono due cose separate.
Ci sono le case editrici, la distribuzione, il lavoro e c’è l’autoproduzione, un luogo tuo dove sperimentare, creare e sbagliare.

Come Libri Somari tu ed Ahmed avete pubblicato in breve tempo alcuni libri, molto diversi per approccio, tecnica narrativa e formato. Ce ne parli?
Nella primavera del 2018 abbiamo pubblicato tre volumi: “Ekart. La tecnica del nuotatore” e “L’assassino è sempre più confuso”, di Ahmed, e il mio “Gli uominicane non hanno la coda”. Sono usciti per Ratatà, dove – insieme a Studio Rebigo e a Claudia Piras – abbiamo vinto il concorso delle autoproduzioni.

“Ekart” è basato su un omonimo film di animazione di Ahmed. Il libro è nato perché lui sentiva di non aver concluso con i disegni. Abbiamo preso tutti i fotogrammi del film e li abbiamo rimontati in modo da creare un’altra storia, un racconto parallelo, con gli stessi personaggi, che però non fanno le stesse cose che nel film! Dopo aver creato questa serie di immagini abbiamo tradotto alcuni racconti di Ahmed, degli scritti sulla sua tecnica e sull’ideazione del film, su quale è stata la scintilla, e un discorso di Roland Barthes sul fumetto. Il risultato è un libro su una ricerca durata tre anni della sua vita.

E “L’assassino è sempre più confuso”?
È nato per gioco, come una ricreazione dal lavoro di animazione su “Ekart”, che durava già da due anni. Insieme a Gianluigi Toccafondo, suo insegnante a Urbino, Ahmed ha cominciato a dipingere sopra alcuni fotogrammi di un film. Come ricreazione appunto, o forse per scaricare la tensione. Ha accumulato disegni su disegni che poi ha montato cercando di creare una storia. È un racconto onirico, evocativo, con storie parallele. “L’assassino…” è inizialmente uscito in una tiratura limitata di sedici copie, che è stata la nostra prima esperienza editoriale. Libri Somari non esisteva ancora ma c’eravamo noi due e soprattutto sapevamo che avremmo lavorato assieme. Quando abbiamo fondato Libri Somari abbiamo fatto una tiratura più grande del libro.

Parlaci del tuo “Gli uominicane non hanno la coda”.
Anche questo è un libro onirico. È nato da un volume di cui mi sono innamorato follemente, “Vivre a FranDisco”, di Thierry Van Hasselt e Marcel Schmitz, che mi ha affascinato tantissimo in particolare per i disegni sublimi di Van Hasselt. Il libro racconta della giornata di un ragazzo down che costruisce una città di cartone, lavora ai palazzi e si traveste da personaggi che poi vivono questa città. Ad un certo punto nella storia c’è un disegno a quattro mani. Da quel punto in poi Van Hasselt disegna a quattro mani, insieme al ragazzo, e ora sappiamo che il protagonista è Marcel.
Quei disegni, quelle immagini sono di una potenza gigantesca e ho cercato di ricreare la situazione. Ho incontrato Gimmy, un ragazzo con problemi comportamentali che frequentava l’Istituto d’Arte a Faenza. Ho provato a disegnare con lui a quattro mani. Non avevo però calcolato che la voglia di disegnare insieme fosse solo mia, non sua. Il frutto di questa esperienza sono alcuni ritratti di Gimmy mentre disegnava, poi messi da parte in un cassetto. Questi disegni però mi chiamavano.

Non so bene come ma non riuscivo ad abbandonarli e hanno “giocato” con altri fatti più avanti, quando ho cominciato a lavorare da marmista. È un mestiere monotono e mi sono lasciato attraversare dalle storie che si creavano durante le otto ore del lavoro. Al tavolo da disegno praticamente ho ricopiato quanto ho vissuto in quel periodo. “Gli uominicane non hanno la coda” racconta i miei pensieri, i miei sogni a occhi aperti che si mischiano al mio lavoro.

Il titolo da dove viene?
Da un disegno di Gimmy con dietro un uomo con la testa da cane. Lo incontravo a scuola e avevo un permesso dalla direzione per cui ogni sabato, per circa due mesi, potevo passare delle ore con lui in un’aula. L’unico divieto era di non disegnare o fotografare nessun altro. Una volta, però, ho fatto una foto a Gimmi con dietro un altro ragazzo. A me piaceva. E anche a Gimmy. Abbiamo deciso insieme di censurare il ragazzo per rispettare il divieto. Che testa ci mettiamo? Ha deciso Gimmy: un cane. Di conseguenza i personaggi della mia storia futura sono diventati lui ed un “uomocane”. Quando ho cercato un titolo per il libro ho pensato: “Questo uomocane avrà pure una mamma e un babbo!” Di conseguenza ce ne sono almeno tre. Infine ho notato di non averne mai disegnato la coda e ho ipotizzato che questa strana specie non la avesse. Ergo: Gli uominicane non hanno la coda.

Nel marzo 2019 invece è uscito “Mosto”. È un libro abbastanza diverso dagli altri. È una raccolta di disegni mentre gli altri hanno una matrice narrativa, nel tuo caso anche autobiografica.
Mosto è connesso a quanto raccontavo prima. Sono scappato dalla provincia per barricarmi in un piccolo paese dove ho scoperto l’orto e dove lavoro come artigiano. Non avevo intenzione di fare un libro. Ho cominciato a disegnare, credo per reazione al fatto che all’epoca ero stato licenziato, ma anche per ritrovare un po’ me stesso.
Mentre “Gli uominicane…” l’ho disegnato senza l’ausilio di fotografie, con “Mosto” sono tornato a utilizzarle. A un certo punto ho selezionato alcuni dei disegni, li ho stesi sul pavimento e ho pensato che sarebbero potuti diventare un libro.

Nel risvolto di copertina di “Gli uominicane…” si afferma che le discipline che avete scelto tu e Ahmed, fumetto e animazione, rispettivamente, “hanno in comune il fatto di comporre delle sequenze di disegni” e che lo “scarto che sta tra i disegni” per voi è “un punto di partenza”. Questo vale anche per “Mosto”? Va quindi inteso non come mera raccolta ma come sequenza di disegni?
Il mosto è un succo di frutta con all’interno ancora le bucce e la polpa. È torbido. con pazienza e mestiere diventerà vino ma non lo è ancora. È il primo processo della trasformazione (in questo caso) dell’uva.

Questa descrizione si può applicare anche a te come autore ed artista?
Si. non riesco a concepire una raccolta sterile.
Anche quando esponiamo i nostri disegni incorniciati, Ahmed ed io cerchiamo di creare delle narrazioni. I disegni non sono mai soli. Si parlano e creano percorsi che noi non controlliamo. E in “Mosto” anche le pagine bianche sono narrazione. Sono silenzi.

Che tecnica o tecniche usi nei tuoi lavori?
Grafite e gomme.

Niente inchiostro?
No. L’ho usato su Cavallino ma ora sto usando solo grafite. Di vari tipi e dimensioni ma solo grafite. E anche di gomme ne ho una gamma di varie paste e grandezze.

E Ahmed?
Ahmed usa soprattutto carboncino.
“L’assassino…” è stato disegnato ricalcando i frame del film su acetato usando gli acrilici.

Com’è il rapporto con altre realtà autoprodotte italiane? Ci sono autori, collettivi o case editrici che ti piacciono particolarmente e/o con cui hai approcci o visioni in comune?
“Mosto” è una coproduzione Libri Somari e MalEdizioni. Con loro mi sono trovato subito bene. Ci siamo incontrati a Ratatà e da li è nato un rapporto di amicizia che ha dato vita a una coproduzione.

Quanto sono importanti festival come il citato Ratatà? Cosa offrono?
Sono fondamentali. Sono un luogo in cui si fanno incontri, si condividono le ricerche con i lettori e con gli autori. C’è sempre tantissimo fermento. Poi anche a livello economico, se non ci fossero i festival non venderei una copia! In quanto autoproduzione non puoi entrare nella grande distribuzione. I festival sono l’unico circuito possibile per diffondere e far conoscere il tuo lavoro.

Cosa c’è nel futuro di Libri Somari? Quali libri state preparando tu e Ahmed?
Sto disegnando un fumetto; la sceneggiatura non è mia, ma di Luigi Filippelli, fondatore di MalEdizioni insieme a Nadia Bordonali. Quando mi ha detto che avremmo pubblicato insieme Mosto mi ha anche raccontato una storia che aveva in testa. A me è piaciuta.
Quindi sarà una storia scritta da Luigi e con me che contesto ogni virgola e non faccio quello che mi dice… sono un pessimo compagno di lavoro ma credo che a lui piaccia questa mia insubordinazione!

Una versione di questa intervista è stata pubblicata sul mensile Fumo di China 298 dell’agosto 2020. Tutte le immagini sono © Samuele Canestrari, Ahmed Ben Nessim e MalEdizioni.