No, non mi riferisco alla proposta di legge che applica goffamente un modello della stampa cartacea all’editoria online, ma a situazioni più spicciole. Una su tutte quando si nota o viene fatto notare un errore o imprecisione in un proprio testo pubblicato sul web.
Cosa fare?
Lasciare com’è, errore incluso?
Correggere silenziosamente?
Incassare il colpo pubblicamente?
Facciamo un esempio concreto.
Ieri, su Mytech.it, ho pubblicato un articolo sul (probabile) hardware dell’iPhone 3GS.
Nei commenti mi si fa notare che la data di uscita del telefono è il 19 giugno, non il 17 come ho scritto io.
Ho scelto di correggere usando il tag strikethrough e cioè barrando l’imprecisione e scrivendo subito dopo il dato corretto. E ovviamente di rispondere al commento ringraziando per la segnalazione dell’errore.
Qualcuno potrebbe obiettare che su una testata giornalistica (di Mondadori, poi!) forse non era il caso e che così facendo si perde autorevolezza e ci si abbassa alla stregua di un blog qualsiasi.
Può darsi, come può darsi il contrario.
Da quando ho iniziati a scrivere professionalmente ho sempre firmato tutti i miei articoli e traduzioni senza usare pseudonimi e ho sempre pensato che che la credibilità dell’autore (e della testata) possa solo aumentare con il mettersi in gi^^discussione. In primis non nascondendo gli errori e dandone atto, rettificando online e – quando è il caso – ringraziando chi segue e fa critiche costruttive. O no?
Segnalo a chi si interessa di musica, Internet e comunicazione l’articolo “Kutiman e la Babylon Band”, uscito in oggi su MyTech.it e uso questo spazio per descrivere l’iter con cui è stato ideato, è stato redatto ed infine pubblicato su Internet.
Scritto a quattro mani con Nicola Battista, è nato in seguito ad una mia segnalazione entusiasta su MusicBlob con tanto di incastonamento di video da YouTube.
In una telefonata il giorno dopo abbiamo parlato dell’operazione di Kutiman e del perché è epocale: dopo che anche il socio si è convinto con due e-mail abbiamo concordato la collaborazione.
Durante il viaggio dall’Abruzzo alla Romagna ho fatto una bozza sull’iPhone con Notes e arrivato a casa l’ho spedita a Nicola B. che la mattina seguente mi ha fatto avere un articolo semidefinitivo.
Ho limato e integrato il testo dal portatile aggiungendo link e citazioni che avevo archiviato via bookmarklet su Tumblr (da altri computer) passando poi il tutto a lui.
Infine abbiamo coordinato gli ultimi dettagli (espansione del background, qualche altro link…) e la pubblicazione sul CMS di Mondadori via Instant Messaging.
Oggi su Storie di Apple è uscito un articolo su un’iniziativa promozionale fatta da Apple durante l’anno in cui fu lanciato il Macintosh.
Nel 1984 negli USA fu infatti attivato il programma “Test Drive a Macintosh” e -per farla breve- nell’archivio documenti di Storie di Apple è disponibile* l’audio (e la scansione) della cassetta della versione italiana, “Prova su strada Macintosh”.
Preparando l’articolo mi serviva però una data più precisa in cui Apple aveva lanciato l’iniziativa. Un generico “1984” non bastava.
Dopo una ventina di minuti a scartabellare sui motori di ricerca mi sono finalmente imbattuto un risultato che pareva pertinente, su Tevac. Ed effettivamente ho trovato l’informazione che cercavo in un commento, con tanto di fonte (link): era un commento del sottoscritto, che nel lontano 2005 aveva già la cassetta in questione, aveva fatto la sua brava indagine, trovato le informazioni utili e cercava di condividere quanto trovato. ;-)
* in forma degradata, senza fini commerciali ed a scopo puramente didattico-storico
Come andare oltre la prassi del 'post'? Come garantire a chi legge ma anche chi cura uno spazio di non ridurre ogni spunto, idea, scambio o avvenimento culturale allo schema testuale deacrittivo con iconografia opzionale? >> Leggi il resto “Oltre il post”
Lo scorso anno in un intervento – non a caso pubblicato su LiveJournal – Warren Ellis prospettava (e consigliava) il groupblog, il blog di gruppo come versione moderna della rivista antologica.
>> Leggi il resto “La redazione? Non c'e'!”
Dopo aver letto la versione italiana di “The Perfect Thing” sono finito sul blog di Steven Levy. Navigando a ritroso ho notato con piacere un intervento in cui si affrontano le differenze tra un’intervista “vecchio stile” e quella condotta per Instant Messaging (se va bene) oppure con l’ormai standardizzato metodo di inviare per e-mail una lista di domande.
La questione non è nuova e il nocciolo avevo provato ad esporlo in passato, sintetizzando un piccolo sfogo apparso su BoingBoing nel 2003.
Levy, da bravo articolista (ed intervistatore) qual è, approfondisce altri aspetti accessori ed essenziali tra cui evidenzierei
- la fiducia che si deve necessariamente instaurare tra intervistatore ed intervistato
- l’apertura mentale necessaria sia che si stia parlando de visu o che si conduca un più ingessato botta e risposta in differita
- un occhio alla sintetiticità
Rispetto alla pagina o due della rivista stampata il maggior ‘respiro’ di una registrazione diffusa nella sua interezza* non necessariamente è a servizio dell’obiettivo. E del lettore.
* come file audio o trascrizione su un blog
“Email questionnaires are not interviews” è il succo di una riflessione (o una semplice constatazione?) che risale al 2003.
È però tutt’ora attuale e valida.
Di cosa parla la riflessione? delle profonde differenze che esistono tra una semplice lista di domande (immutabili) a cui si riceve una risposta (in differita) e una vera intervista. Quest’ultima dovrebbe essere frutto di interazione (in tempo reale) ed insieme ad alcuni svantaggi per chi la cura porta anche evidenti vantaggi, sopratutto per chi legge.
Avendo condotto entrambe le forme di ‘intervista” per svago (autori di fumetto) e per lavoro (articoli sull’ICT) sottoscrivo la riflessione e direi la differenza sia percepibile anche “a pelle” semplicemente (ri)leggendo qualche articolo e colloquio pubblicati su testate negli ultimi anni.
In “Grazie WordPress” mi interrogavo su una delle limitazione progettuali di WordPress e cioé:
Perché sono previsti anche due o più autori ma non che questi firmino insieme un articolo.
Nei commenti mi si faceva notare che con altri CMS e nello specifico Joomla è possibile scrivere liberamente il nome che dovrà apparire nella firma. La valutazione dello strumento “giusto” è forse uno dei punti cruciali ma va fatta all’inizio, prima di cominciare a curare un sito, blog o rivista online. Se si è ormai fatta la scelta e questa è ricaduta su WordPress può essere difficile (o scomodo) cambiare strumento e bisogna intervenire con una soluzione, magari “rimediata” ma efficace.
La mia soluzione è la seguente: creare un utente nuovo o modificarne uno preesistente dandogli i nomi degli autori che firmeranno insieme il testo.
Ecco un esempio dove c’è stata l’esigenza di scrivere in coppia con Nicola Battista:
Al nome breve (quello per il login) si può infatti associare un qualsiasi nome esteso, nel nostro caso i due (o più) nomi degli autori.
Un utente di questo tipo può anche non essere usato per fare login ma sfruttato solo per la sua “firma”, che si può tranquillamente applicare a stesura ultimata dell’articolo.