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Spiralfrog: cronaca di un insuccesso annunciato

Due anni e mezzo di promesse mancate: chiude Spiralfrog. Addio alla musica gratuita “ad-supported”?

di Nicola Battista e Nicola D’Agostino

Incredibile ma vero: Spiralfrog, il pubblicizzatissimo servizio che avrebbe dovuto “regalare” musica al mondo sostenuta dalla pubblicità ha chiuso i battenti.

La chiusura è avvenuta in sordina,  tra il 19 e il 20 marzo. Prima un errore 404 (come riferito da Digital Music News) con il sito web che non rispondeva; il giorno dopo la chiusura definitiva. Cnet parla di asset messi letteralmente in mano ai creditori: lo scorso anno erano stati presi in prestito almeno 9 milioni di dollari. Ma il debito totale rasentava secondo quel che si dice da più parti attorno ai 35 milioni.

Il conto più salato ricadrà da una parte sugli azionisti – il debito è così ampio che non vedranno un centesimo dalla vendita di quello che resta del servizio – e dall’altra sugli utenti: che ancora una volta “pagheranno” la scelta di proteggere i brani con Drm e tra poco meno di due mesi non potranno più ascoltare i brani che avevano scaricato legalmente.

Da buona idea a colossale fiasco

Insomma da un’idea che sulla carta sembrava buona anche se tutt’altro che nuova –musica gratis e “ad-supported”– si è arrivati ad un fiasco corredato da un non indifferente disastro finanziario.
Spiralfrog offriva musica in formato protetto (Wma), non trasferibile su Cd o su lettori che non supportano il Drm Microsoft PlaysForSure (iPod, iPhone e Zune in testa…), una scelta non proprio brillante in tempi di apertura. Dalla sua aveva però il catalogo della major Universal e una manciata di altri accordi, che se non altro portavano un po’ di contenuto legale che tuttora manca a diversi concorrenti o presunti tali.

Le vicissitudini di Spiralfrog

Il servizio era stato annunciato nell’agosto 2006 proprio sull’onda dei primi accordi con le etichette discografiche: un mese dopo si era però già guadagnato obiezioni e critiche.

Che la strada fosse tutta in salita si è capito quando, arrivati al gennaio 2007, il servizio era ancora in alto mare e lontano dall’apertura. Si è dovuti arrivare all’agosto 2007 perché la rana di Spiralfrog facesse finalmente i suoi primi balzi, pardon, passi.
Eppure, il servizio sembrava ancora mancare di una direzione ben precisa e nell’aprile 2008 ci sono stati nuovi arrivi ai vertici per avviare fantomatiche “iniziative strategiche”.

Il 2009 si è aperto con l’ammissione di una serie di problemi da parte del fondatore Joe Mohen. Ma, allo stesso tempo, Spiralfrog affermava di avere ancora qualche freccia al proprio arco: “It Ain’t Over Yet”, non è ancora finita, recitava il titolo di un articolo.

A guardare bene il sito è rimasto vittima anzitutto della sua stessa struttura finanziaria; a questo si è aggiunta la crisi internazionale e il conseguente crollo delle inserzioni pubblicitarie. Alla parabola discendente ha contribuito in maniera indiretta anche il fallimento Lehman Brothers, spaventando e scoraggiando uno degli investitori.
Prima della fine si è vociferato di una vendita e tra i possibili acquirenti qualcuno ventilava il nome di Yahoo!. Nulla di fatto, purtroppo. Il che ci riporta ai nostri giorni e alla chiusura.

E la concorrenza?

Tra i concorrenti più noti di Spiralfrog, molti sono rimasti al palo come Mashboxx o hanno chiuso i battenti. Per ora sopravvivono il fantomatico e contestatissimo Qtrax, We7 (che annovera Peter Gabriel tra i suoi fondatori) e soprattutto Spotify che -lanciato nell’ultimo scorcio del 2008 dopo due anni di sviluppo- appare in crescita sia come utenti che come catalogo e si è da poco assicurato i due milioni di pezzi del repertorio di CD Baby.

Resta comunque un dubbio di fondo: ha senso ed è davvero possibile distribuire musica con questo genere di business model? Ormai la storia dovrebbe averci insegnato che forse la risposta è no.
Se lo è chiesto tra gli altri ancora una volta Cnet, e tra le varie dichiarazioni è interessante quella di Michael Robertson, già fondatore di Mp3.com e poi di Mp3Tunes.com: “Mi stupisco che qualcuno sia sorpreso per SpiralFrog”, dice il guru della musica digitale, ricordando che in pratica i costi fissi sostenuti per le royalty rendono difficile se non impossibile un rientro economico. “Gli aspetti economici sono evidenti per chi segue queste cose, ma la gente continua a far finta che la pantomima della musica ad-supported abbia senso. Non ne ha”.

C’era una volta, circa un decennio fa, un’avventura tutta italiana chiamata FreeRecords. Che fu in un certo senso esemplare.
Essenzialmente, la differenza con gli altri servizi dell’epoca voleva essere nell’offerta di download gratuiti per gli utenti (in formato Mp3 non protetto) e “pagati” da sponsor: i quali però latitavano.
Si può ben immaginare come andò a finire…

Articolo originariamente pubblicato su Mytech.it