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Social software al microscopio

Piccolo รจ bello, ma ci sono dentro moltissimi ingredienti: vediamo quali.

di Nicola D’Agostino

“Software migliore grazie all’inclusione di persone”, “software che si adatta all’ambiente invece di richiedere all’ambiente di adattarsi ad esso”, “tutto ciò che va dalle chat all’e-mail di gruppo ai videogiochi”: queste sono solo alcune delle numerose definizioni di social software.

Qualcuno lo definisce collaborative software, altri usano il termine blogosfera con chiaro riferimento al ruolo significativo e rivoluzionario dei weblog; altri, come Howard Rheingold, fanno affondare le radici storiche del fenomeno nelle comunità virtuali degli scorsi decenni. Al di là di termini più o meno nuovi e più o meno settari, il social software è una realtà, formatasi attorno alla disponibilità (sempre più diffusa ed a basso costo) di connettività e alla naturale tendenza delle persone di piegare ai loro fini la tecnologia e di socializzare.

Come afferma anche il ricercatore Clay Shirky, «Internet è al suo massimo quando connette persone», che si tratti dei Mud, (Multi User Dungeons), i giochi on line interattivi multiutente a caratteri nati negli anni ‘70 o del trackback, il sistema di link delle citazioni dei blog o ancora le Wikipedia, le enciclopedie on line redatte a più mani.

Altri aspetti interessanti sono il rapporto proporzionalmente inverso tra valore e grandezza rispetto ad alcune forme classiche di Internet: laddove i siti web prosperano con il crescere dell’utenza, il social software, come succede per l’interazione interpersonale nella “vita off line”, funziona meglio, cresce, si sviluppa e si arricchisce quando si limita numericamente a piccoli gruppi. La gestione della propria “identità on line” e l’opera di interconnessione e scambio tra individui e gruppi è cruciale ed è uno dei motivi per cui il modello “dal basso” del social software sta avendo successo rispetto invece alle forme di “groupware”, imposte dalle aziende e dalle organizzazioni.

Degna infine di nota è l’autocoscienza rispetto al fenomeno da parte degli utenti, come dimostra anche la creazione della Social Software Alliance, iniziativa nata per assistere, supportare e difendere la creazione di standard e pratiche del social software. A differenza di altri “casi”, gran parte dell’opera di teorizzazione (dal nome alla definizione passando per le norme ed i meccanismi sino all’analisi degli effetti) è svolta dagli utenti stessi del social software, una net generation cronologicamente trasversale che considera ormai le reti e la Rete parte integrante della propria vita e che interagisce spontaneamente con essa.

Articolo originariamente pubblicato su Mytech.it