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Se l’Italia si gioca la privacy

Vita tormentata quella del decreto legge 354/2003, introdotto a fine dicembre 2003, discusso, bersagliato di critiche e proteste, oggetto di interpellanze parlamentari e infine piĆ¹ volte modificato. Ma i problemi di fondo rimangono.

di Nicola D’Agostino

Introdotto poco prima delle feste natalizie del 2003, il decreto-legge 354 del 24 dicembre ha portato una serie di modifiche sostanziali alle regole precedenti in materia di data retention.
Dietro il titolo “Disposizioni urgenti per il funzionamento dei tribunali delle acque, nonché interventi per l’amministrazione della giustizia.” si celava non solo il raddoppio dei tempi di conservazione dei dati rispetto al precedente decreto 196 del luglio 2003, da 30 a 60 mesi ma anche l’aggiunta, a quello telefonico, del traffico Internet.

Il contenuto del decreto è stato anticipato dal Corriere della Sera del 23 dicembre, in cui la legge viene contestualizzata alla lotta in corso ai movimenti eversivi. Dichiarazioni a favore sono state in tal senso rilasciate dal pubblico ministero Saviotti in una nota di agenzia dell’Ansa prima, e poi ancora in un articolo del 27 dicembre su Repubblica, parlando del fermo dei presunti responsabili dell’omicidio di Massimo D’Antona.

Tra i primi a commentare negativamente invece c’è Alcei, l’associazione per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva, che in un comunicato afferma chiaramente come la
conservazione indiscriminata del traffico internet “non serve ad arrestare i criminali e minaccia la libertà di imprese e cittadini”. A questa si aggiungono tra le altre L’Unità, che è una delle prime testate ad affibiare al decreto-legge l’appellativo “grande fratello” e La Stampa.

Altrettanto eloquenti sono i titoli de Il Manifesto del 24 dicembre , secondo cui si è tutti
“schedati in rete”, e quelli di Punto Informatico che chiama la legge una “Bomba natalizia del governo” e, oltre a sottolineare ancora una volta i problemi inerenti alla privacy, cita anche problemi tecnici. Questi sono infatti oggetto di una nota dell’Aiip e di Assoprovider, le due assocazioni di settore, che lamentano come «lo sforzo archiviare la mole di dati richiesta, per garantirle la giusta sicurezza e integrità, diventerebbe presto eccessivo per operatori che oggi conservano quei dati per soli pochi giorni esclusivamente per rispondere a problemi di instradamento».

Ma le critiche e le perplessità non vengono solo dai media e dai soggetti colpiti dal provvedimento. Laddove il Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Stanca parla di «una soluzione bilanciata tra l’esigenza prioritaria della libertà e della privacy individuale ed i problemi della sicurezza» fortemente preoccupata è invece la reazione del Garante per la privacy. In un comunicato stampa del 23 dicembre si «prende atto con preoccupazione del decreto» e si afferma che questo può «entrare in conflitto con le norme costituzionali sulla libertà e segretezza delle comunicazioni e sulla libertà di manifestazione del pensiero» e si «confida in un attento esame del decreto da parte del Parlamento».

La legge viene da più lati vista come dannosa e pericolosa. Le osservazioni più pertinenti fanno notare come si tratti di una violazione dei principi fondamentali senza avere in cambio effettive garanzie di successi nella lotta al terrorismo, di come in altri paesi i log vengano mantenuti per periodi di tempo inferiori e come infine ci siano rischi di un utilizzo dei dati a per fini commerciali e politici.

A inizio gennaio al coro di protesta si aggiunge il sito Interlex con due interventi a firma di Manlio Cammarata e di Andrea Monti che firma anche un’attenta disamina del decreto legge come pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre.

Il sito Quintostato.it. si mobilita con una petizione elettronica che raggiunge quasi 8500 firme prima di essere consegnata, il 21 di gennaio, ai presidenti di Camera e Senato. Negli stessi giorni è il turno di una mozione alla Camera dei Deputati del diessino Folena, relativa perlopiù all’aspetto della privacy, e che viene approvata all’unanimità.

Ecco dunque il primo ritocco al decreto. Viene sostituita la terminologia “dati relativi al traffico” con “dati relativi al traffico telefonico o alla corrispondenza in via telematica” e abbreviati i tempi da “30 mesi più altri 30” a “24 più 24”.

Ma non è ancora finita: l’ultimo capitolo è storia recente, a fine gennaio, quando l’aula di Montecitorio elimina anche la possibilità che vengano conservate le e-mail. Soddisfatto il Senatore Fiorello Cortiana secondo cui «la fine del Decreto Grande Fratello è una vittoria del popolo della Rete».

Nonostante i risultati positivi e i titoli trionfalistici restano però purtroppo immutati i problemi alla base del decreto legge, come evidenzia un comunicato di Alcei di qualche giorno prima.
Secondo l’associazione il 354/2003 è nato per l’affrettata decisione di modificare le conseguenze di un precedente decreto legislativo (il 196 del luglio 2003) ed è non solo «confuso, disordinato e poco chiaro» ma non modifica nella sostanza lo stato di fatto precedente. Cosa ancora più grave è che il decreto, oltre ai rischi effettivi di lesione della privacy e di strumentalizzazione, contribuisce al «processo di continua erosione dei diritti civili» in atto da tempo e che il concetto (in sé legittimo e corretto) di prevenzione «si trasforma in sanzione arbitraria contro categorie, reali o immaginarie, di presunti trasgressori».

Articolo originariamente pubblicato su Mytech.it