Nicola D'Agostino (.net) - Articoli, traduzioni, grafica, web

Sara Colaone, “Ciao Ciao Bambina” e l’immigrazione italiana

La quinta edizione di Bilbolbul ha dedicato un incontro al romanzo grafico “Ciao Ciao Bambina” e alla tematica dell’immigrazione italiana.

di Nicola D’Agostino

Ecco di seguito alcuni appunti presi durante l’incontro e la trascrizione di uno dei (purtroppo brevi) interventi di Sara Colaone, autrice del fumetto.

Tra cose che il pubblico ha appreso c’è che la gestazione di “Ciao Ciao Bambina” è stata lunga, molto lunga. La Colaone ha infatti cominciato a raccogliere materiale e a parlare con sua madre Vittoria già nel 2001.
I ricordi e l’avventura in Svizzera della madre, nata nel ’37, sono la base su cui si sviluppa l’avventura della protagonista, Valeria. Sono stati interpellati anche altri parenti come la zia della Colaone, anche lei emigrata in Svizzera, che ha aiutato a ricostruire fedelmente dettagli quali i prezzi dell’epoca.

Ciao ciao bambina - vignetta da pagina 9

Colaone ha però fatto notare la fedeltà non basta a descrivere e tramandare un’esperienza che ha lasciato il segno. La madre, dopo aver letto il fumetto, ha elogiato il disegno (e solo il disegno). Alla domanda “cos’e che ti aspettavi?” la risposta è stata “Non so, ma non è la verità”.
L’autrice si spiega la risposta della madre con il fatto che in ogni esperienza c’è una soglia, e che c’è una distinzione tra il ricordo e tra la rielaborazione del ricordo.

Ma lascio la parola all’autrice:

“Io vengo da una regione in cui in questo momento c’è un fortissimo flusso di immigrazione dai paesi dell’Est, dai paesi del Nord Africa, in uno scenario in cui […] andare fuori [a noi] sembra assolutamente assurdo […]. [C’è] un episodio che per me è stato veramente scatenante [per fare una ] riflessione, di un certo tipo […] È stato un episodio molto banale.
Passeggiavamo per strada e guardavamo questa famiglia di nordafricani che si era comprata un macchinone, una BMW o una Mercedes usata e il commento che una persona fece – e che è un po’ come succede alla protagonista in Svizzera – [fu] ‘Adesso anche loro alzano la testa, si possono permettere dei lussi’.
Mi è sembrato abbastanza normale che chi lavora possa comprarsi le cose che desidera perché è assolutamente lecito: [c’è] un desiderio di integrarsi in un contesto anche consumistico.
Vediamo spessissimo che gli immigrati in Italia, dopo qualche tempo, cominciano a imitare, nei consumi, nei modi di vestirsi e nei comportamenti, gli italiani: quindi è una cosa assolutamente logica.
Poi quando ho scavato meglio nei racconti, […] racconti che sento da quando ero piccolissima […] ho scoperto che anche loro [gli Italiani, nda] in realtà non desinavano tutti i giorni a casa ma si compravano delle cose che gratificassero il loro essere all’estero, il loro fare una vita molto spesso dura e che quindi compensavano delle mancanze. [Compensavano] mancanze affettive, mancanze delle cose di casa. E io ho […] trovato l’aggancio. Poi ho deciso comunque di concentrarmi sul lato più leggero della storia perché non era mia intenzione farne un romanzo drastico. […] perché comunque ritenevo […] ci fosse bisogno di trattare [tutto] con leggerezza. Però […] c’è questa rimozione. La maggior parte delle persone nella mia regione ha avuto genitori o parenti emigranti. […] Molti di loro sono ritornati. Molti della mia famiglia sono ancora all’estero. Io ho parenti negli Stati Uniti, ho parenti in Francia, ho avuto parenti in Belgio. Qualcuno in Argentina: il famoso zio che torna con la fisarmonica è emigrato in Argentina. È partito povero ed è tornato quasi più povero di prima, come spesso succedeva. […] Questa totale rimozione per non guardare con vergogna al nostro passato. Soprattutto guardare a chi ci ricorda il nostro recente passato con imbarazzo perché sono pericolosamente simili a come eravamo noi poco meno di cinquant’anni fa.”