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Non aprite quella immagine

La decisione di una società statunitense di chiedere il pagamento di royalty per l’utilizzo del Jpeg, accende la polemica sulla libertà dei formati grafici. Con l’Iso che minaccia la scomunica.

di Nicola Battista e Nicola D’Agostino

L’11 luglio 2002 una società finora non molto nota, Forgent Networks, ha annunciato il possesso del brevetto sul formato grafico JPEG (Joint Photographic Experts Group) e la sua intenzione di concedere licenze d’uso a pagamento per tale tecnologia.
Il JPEG (Joint Photographic Expert Group) è una tecnologia di compressione per le immagini ed è stato sviluppato da un consorzio di ditte e laboratori denominato Independent JPEG Group. Il JPEG è uno standard ISO ed è alla base di uno dei formati grafici più usati e diffusi in assoluto, in particolare sui siti web di Internet: è usato per immagini fotografiche e con ricchezza di dettagli e sfumature.

Forgent Networks, nota in passato come VTEL, è una società statunitense con base ad Austin, in Texas; nel 1997 ha acquisito la Compression Labs, che ha depositato nel 1986 un brevetto che dovrebbe essere relativo alla trasmissione delle immagini JPEG, ma non ha mai esercitato i suoi diritti di licensing. Forgent invece intende farlo e non si limiterà ai browser Internet, ma anche a telecamere e macchine fotografiche digitali, device mobili e palmari, telefoni e scanner: in pratica qualsiasi programma o meccanismo (con la sola eccezione delle trasmissioni via satellite) che riceva un file di tipo JPEG. Non solo: alle richieste di pagamento di licenza hanno già aderito due ditte, una delle quali sarebbe la Sony Corporation; secondo altri un misterioso cliente – un’altra società giapponese produttrice di videocamere digitali – avrebbe sborsato 15 milioni di dollari per l’uso del formato.

Il caso ricorda da vicino quanto accaduto anni fa con un altro formato di file utilizzato per le immagini (GIF) e in parte quello del formato MP3, per cui da qualche tempo Fraunhofer Institute e Thomson richiedono la sottoscrizione di una licenza; generalmente il costo di tali licenze – anche per motivi pratici – non viene fatto ricadere direttamente sugli utenti che creano o scaricano i file ma dal sito o dal produttore di hardware/software che utilizza in qualche modo il formato. Alla fine, il tutto si riflette comunque in qualche maniera sul consumatore: ad esempio i brani di EMusic hanno un “ricarico” di un centesimo di dollaro a brano per i costi della licenza MP3.
Come si può vedere, da un campo magari molto “tecnico”, siamo passati a un qualcosa che tocca tutti gli utenti di Internet ma anche gli acquirenti di fotocamere, telefonini ed altre apparecchiature di uso comune.

Articolo originariamente pubblicato su Mytech.it