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Musica: le glorie del rock inglese vogliono più copyright

Dal Regno Unito si chiede di impedire l’ormai prossimo ingresso nel “pubblico dominio” delle opere musicali. In ballo ci sono interessi piccoli e grandi. Tra i richiedenti alcuni miti come Ian Anderson dei Jethro Tull e Bono.

di Nicola D’Agostino

Estendere nel Regno Unito il periodo di copyright dei brani musicali da 50 a 70 anni: è questo che chiedono alcuni musicisti inglesi di rock e jazz ormai anziani che vedono prossima la fine delle royalties e in alcuni casi, quindi, della loro unica fonte di sostentamento.

La richiesta di cui riferiscono l’Independent e il Daily Telegraph è rivolta al Parlamento Europeo con il sostegno interessato di etichette discografiche, associazioni di settore come la Bpi (l’equivalente della britannico della Riaa) la rivista Music Week che ha organizzato una petizione ma anche di personaggi culto della scena musicale come Ian Anderson dei Jethro Tull, Bruce Welch degli Shadows o Bono degli U2. Il confronto più immediato fatto dagli inglesi è quello con altri paesi come Australia o Brasile e in particolare con gli Stati Uniti, dove il copyright, grazie al Sonny Bono Act, ha esteso la copertura e in particolarelo sfruttamento delle opere a ben 95 anni.

Indubbiamente è vero che per alcuni musicisti poco noti con hit negli anni ‘50 e ora anziani -è il caso del chitarrista Joe Brown o del clarinettista Acker Bilk- il copyright rappresenti una fonte di reddito vitale. Però è vero anche che il limite temporale di sfruttamento commerciale fissato originariamente (e che si vuole ora abrogare in tutta Europa) ha una sua precisa ragione di esistere e il ricadere nel pubblico dominio è un atto altrettanto vitale che serve sia ad arricchire il patrimonio culturale comune che a fornire l’humus per future creazioni.

In ballo però ci sono interessi giganteschi: nel giro di pochi anni i primi lavori di Beatles e Rolling Stones diverranno liberi e, come nel caso di Disney (che proprio sul pubblico dominio ha basato gran parte delle sue opere di animazione), la prospettiva di perdere lauti introiti dati per assunti o previsti (pensiamo alla vendita di brani in digitale) non sorride a nessuno degli aventi diritto.

Articolo originariamente pubblicato su Mytech.it