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Meno ostacoli per i disabili in rete

Con la legge sull’accessibilità dei siti della pubblica amministrazione, l’Italia ha messo a segno un punto che la fa risalire nelle classifiche internazionali. Ma dalla teoria alla pratica il passo non è così immediato.

di Nicola D’Agostino

Il 17 dicembre il Senato ha approvato in via definitiva la proposta di legge in materia di accesso ai disabili delle risorse informatiche, in particolare ai siti Internet delle pubbliche amministrazioni.
La notizia è data in un comunicato stampa dai toni trionfali del MIT, il Ministero per l’Innovazione Tecnologica, in cui il ministro Lucio Stanca parla di “un grande segno di civiltà” e di una normativa con cui “vengono rimosse le barriere digitali”.

Uno degli aspetti più importanti di questa legge sull’accessibilità, passata alla Camera il 16 ottobre e che ha messo d’accordo sia maggioranza che opposizione, è di essere la prima a livello mondiale a recepire completamente il progetto WAI (Web Accessibility Initiative) del W3C e di far recuperare al nostro paese alcune posizioni in ambito europeo e internazionale.

Il testo della legge è in realtà un mix delle varie proposte presentate sinora, nove per l’esattezza: tra queste quella a firma Campa-Palmieri, a cui ha partecipato attivamente l’associazione IWA/HWG, membro del W3C e del gruppo di lavoro internazionale sull’accessibilità (sul tema è stato organizzato recentemente un convegno a Venezia).

I punti salienti della legge sono riassunti in una scheda del ministero: obblighi precisi per la pubblica amministrazione, ma anche per i privati che con quest’ultima stipulano accordi; un sistema per valorizzare chi tra i privati si adeguerà volontariamente agli standard; attenzione all’accessibilità e fruibilità degli strumenti didattici e formativi e anche un meccanismo flessibile ed aggiornabile di rimando a un regolamento governativo, per la disciplina delle situazioni giuridiche, e a un decreto ministeriale, che stabilisce le metodologie tecniche.

Non mancano però le critiche, tra cui quelle dell’esponente radicale Paolo Pietrosanti che lamenta il fatto che la legge sia circoscritta solo ai siti istituzionali. Altri, come Maurizio Boscarol, segnalano che “accessibilità” non è necessariamente sinonimo di “usabilità“. Dalle discussioni tra esperti in materia sulla mailing list Humana risulta infatti che le linee guida del W3C in fatto di accessibilità nel nostro paese sono ancora lasciate prevalentemente alla libera iniziativa individuale e che manca un’offerta formativa competente in materia.

Altre critiche vengono da chi sottolinea come la normativa non offra contributi economici ai disabili (che devono sostemere spese onerose relative all’acquisto di ausili) e da chi vede piuttosto lontano un cambiamento del panorama web dell’amministrazione pubblica e delle aziende che lo curano. Oltre alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sarà infatti necessario approvare un regolamento ed emanare il decreto con linee guida, livelli e metodologie: atti che richiederanno allo stato pratico delle cose diversi mesi.

Del resto anche il ministro Stanca riconosce che “questa legge non risolve tutti i problemi”: si spera che il traguardo raggiunto dalla normativa appena approvata quindi sia solo il primo passo verso la trasformazione in realtà del sogno dei fondatori del web: consentire l’accesso all’informazione a tutti in modo universale.

Articolo originariamente pubblicato su Mytech.it