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Gianluca Costantini parla di “Fedele alla linea”

Il 6 marzo 2018 ho moderato un incontro presso la Biblioteca Comunale di Imola (BO) con il fumettista, artista ed attivista Gianluca Costantini.
Ecco una trascrizione parziale della serata, in cui Costantini parla della sua raccolta di storie a fumetti per BeccoGiallo.

di Nicola D’Agostino

Nicola D’Agostino: […] Che cos’è “Fedele alla linea” e come è nato? […] È un libro che raccoglie materiali molto diversi tra di loro, anche come stile e lunghezza…
Gianluca Costantini: […] Molti dei contenuti che sono in questo libro sono cose che fanno parte della mia vita, dei viaggi, degli incontri o do cose sentite raccontare. E quindi [è un] libro [che] non è stato progettato dall’inizio [così]. Parliamo di storie che hanno anche dodici-tredici anni di vita, quindi le prime di quest’antologia – chiamiamola così – sono storie anche nate per caso, non proprio con la finalità di quanto viene detto in copertina, “giornalismo a fumetti”. Sono dei reportage fatti da un viaggio… sono cose che solo dodici anni fa non si sapeva bene catalogare, in questa categoria che è il giornalismo disegnato, perché non esisteva veramente, c’era solo qualche piccolo caso. Quindi questo [libro] è l’insieme di tutte queste storie, che sono oltre quaranta, realizzate in questi anni e che si sviluppano cronologicamente.
Perché le abbiamo raccolte? Perché la casa editrice [Becco Giallo] ha deciso di raccoglierle? Perché [ci] sembrava il momento giusto per parlare di alcuni argomenti che sono qui dentro e anche il momento giusto, che cioè il pubblico fosse pronto a leggere dei fumetti di questo genere… e che [si] tracciasse una linea, una linea di “si può fare un fumetto che racconta in queste maniere”.
È quasi come un manuale di fumetto, di generi che uno può affrontare nel modo di raccontare, dall’inchiesta, dal reportage, dal giornalismo al computer, dal giornalismo vero, in prima persona, diari di viaggio, o scritti di altri giornalisti, inviati, inviati di guerra, all’estero, in paesi di conflitto.
Quindi il volume è stato fatto perché volevamo dare un ordine a tutto [quanto prodotto] in questi anni, e serviva anche alla casa editrice per far capire che Becco Giallo è un editore che si impegna a lavorare su certi temi, temi civici, civili, come “casa editrice civile”, dicono loro, per il sociale. Avevamo bisogno di mettere il mattone per far capire “Noi lo facciamo veramente”, perché si parla tanto di questo genere, del fumetto di “graphic journalism”, ma in verità ce n’è poco in giro. Non ce n’è tanto, di vero. Quindi era il momento giusto, per noi.
Questo è il motivo per cui [“Fedele alla linea”] è stato fatto, poi c’è tutto il mio ego per fare il libro, naturalmente… e la bellezza di riuscire a crearlo.
Sono stato aiutato da molte persone, nel concepirlo, sia graficamente che… per esempio Elettra [Stamboulis] per ogni storia ha scritto un testo che la contestualizza adesso. Per esempio c’è la storia dei bambini di Beslan, che magari molti di voi ricordano, della scuola di Beslan. È passata già una decina di anni fa e non tutti si ricordano cos’è [successo a] Beslan, o non tutti sanno cosa è successo dopo, o prima. Quindi, visto che le storie possono invecchiare, ognuna aveva bisogno di essere messa nel nostro presente, di cioè far capire a che punto siamo in quella storia.
Ci sono molte storie sul terrorismo, perché lavorando con i quotidiani, con i magazine online, si lavora soprattutto sui temi del momento, di quelli di cui si parla, e quindi per un ampia parte di questo libro si parla di terrorismo, di Isis, di attentati, di Parigi, Bruxelles, Tunisi, Istanbul e via dicendo.
C’è anche un cambiamento stilistico dato da questi temi… e anche sapere che quel terrorista che – purtroppo per noi – è stato famosissimo per quella settimana, che ha sparato al Bataclan o nella redazione di Charlie Hebdo… adesso dov’è? Cos’è successo? Questa storia aveva bisogno di essere contestualizzata. E quindi ci sono questi testi introduttivi. C’è una mappa che vi fa vedere dove [le storie] sono ambientate, per esempio.

NDA: Il contenuto del libro è estremamente vario. Per certi versi è spiazzante perché copre un periodo che va dal 2005 al 2016, però la prima storia non è di giornalismo disegnato. È la cronaca di un viaggio a un festival fumettistico. E in mezzo [al libro] ci sono tante altre cose che mantengono viva l’attenzione perché spezzano sia graficamente che tematicamente la tensione, le tematiche […]
Da dove viene la lunghezza delle storie? Viene esclusivamente da chi ti ha commissionato le storie?
GC: La maggior parte delle storie sì. Ad esempio ci sono tante storie che avevo realizzato per Pagina 99 che sono di due pagine, massimo tre. Perché il magazine è così. Le storie di Internazionale sono sempre di due pagine. Altre sono più lunghe perché magari sono state pubblicate online…

NDA: Il materiale pubblicato online come lo hai inserito nel libro?
GC: Le cose online sono completamente reimpaginate, adattate al formato di carta. E come sapete la lettura “mobile”, nei telefoni e nei tablet è [basata sullo] scrolling, è una colonna che scorre durante la lettura, quindi quasi mai ci sono più vignette, altrimenti uno non riuscirebbe a leggerle col telefono. Di conseguenza in questi anni c’è stato tutto un approfondimento per far sì che la visione di un fumetto nel digitale fosse effettivamente fruibile. Prima quando venivano pubblicati i fumetti online uno doveva stare lì con le dita per riuscire le didascalie…
NDA: Perché era una pagina di fumetto…
GC: ripubblicata lì.
Adesso, per esempio, i fumetti che vengono pubblicati online sono brutti da guardare al computer. Sono belli solo nei formati piccoli. Perché in realtà il carattere con cui è scritto il testo è gigante. Perché la didascalia, devi riuscire a leggerla da un telefono senza ingrandirla. […] Qui naturalmente è un libro, di carta, e quindi io, spesso aiutato da Leonardo Guardigli – che ha curato l’impaginazione – abbiamo riaperto tutti i file di tutte le storie e reimpaginato e adattato alla carta il formato. Però non è che sia stata cambiata la narrazione; la sequenza è sempre uguale, è cambiata la disposizione nella pagina, che invece che essere un dito che scrolla è una mano che muove e che sfoglia. Cambia il tempo di lettura. Come sapete il fumetto ha una lettura sua che comprende sia lo sfogliare che l’intervallo tra le vignette, l’interstizio tra una vignetta e l’altra, tra il tempo, che uno riempie.
Adesso, naturalmente, nei telefoni, questo tempo è cambiato, perché il tempo non è più di lettura, è di movimento. […]

NDA: Hai fatto una selezione del materiale prodotto nel corso degli anni?
GC: Certo. Tematica, diciamo. Ci sono alcune storie che non sono state messe perché erano ritenute ormai brutte, vecchie o non mi soddisfacevano più. Sono state tagliate proprio per la loro [bassa] qualità. Poi ci sono altre che non rientrano in questa categoria, semplicemente. Sono più diari, più viaggio, più turismo… o più intime, più personali. E quindi non potevano starci. Sarebbe un’altra antologia, quella, con altre caratteristiche. Qui si doveva rientrare in quello che viene detto “graphic journalism”. […]

NDA: In quante delle storie in “Fedele alla linea”, quando si parla di un viaggio, sei effettivamente tu che… diciamola in questi termini, i soldi e il tempo per andare, e quante volte invece hai dovuto lavorare sulle fonti e appoggiarti al lavoro di un giornalista?
GC: Non ci sono soldi per questi lavori, per i viaggi,ancora. Per il giornalismo a fumetti. Son pochi quelli che ne hanno avuti. Forse adesso, Marco Rizzo e due autori italiani che sono stati pagati da Feltrinelli per essere inviati su una nave di salvataggio nel Mediterraneo. Igort venne pagato dalla Mondadori per farsi un viaggio turistico in Siberia. Cose così. Però son veramente pochi casi. In Italia, eh? Parliamo dell’Italia.
Quindi ci sono alcuni casi in cui ero sul posto mentre [il fatto] succedeva, il che è un caso. Altri casi in cui c’era il giornalista, sul posto. L’inviato, che mi ha dato tutto. Ad esempio, nello Yemen sono pochi i giornalisti italiani che ci sono potuti andare. Io lavoro con una giornalista che lavora nello Yemen. E può entrare solo perché suo marito è yemenita. Altri [racconti] li ho costruiti online. Si chiama “giornalismo da desk”. Si costruisce con le fonti degli altri, o che ti aiutano a farlo, oppure tu devi essere bravo a incrociare le fnti e trovare la storia vera.
Io non ho studiato giornalismo. Ho imparato da solo. Poi dopo, a quanto sembra ho avuto molti riconoscimenti dai giornalisti he hanno detto che io so fare questa cosa… si vede che mi viene… mi piace. […]
Mi piace incrociare tutte le informazioni online di un avvenimento. […]

NDA: A me interesserebbe parlare di… in quanto commentatore, giornalista, cronista per certi versi, quanto devi essere veloce per fare una storia breve o una vignetta?
GC: Fai conto che in questi diciassette giorni [in cui ho disegnato le Olimpiadi invernali per la CNN] ho fatto 130 illustrazioni, 25 video di riprese in cui disegno, GIF animate… bisogna essere veloci, se non non funziona il “live”!

NDA: C’è stato un momento [nella tua carriera], che so, dieci o quindici anni fa, in cui ti sei detto “Devo arrivare alla sintesi,
GC:No, no.
NDA: …per un disegno ci devo mettere non più di trenta secondi…”
GC: No… c’è stato un periodo in cui non correggevo mai quello che facevo. Era sempre buono il primo disegno che facevo. Non facevo neanche la matita.
NDA: E adesso cosa fai? Correggi? Scarti?
GC: Butto direttamente nel cestino il disegno e lo rifaccio. Però capita di rado. Però faccio la matita, sono più diligente… faccio le correzioni, perché le devo fare per forza, e in pratica devo essere veloce per forza. Anche alcune delle storie qui [per “Fedele alla linea”], anche il segno che c’è in alcune storie corrisponde alla velocità con cui sono state eseguite.
NDA: Sempre a matita e su carta?
GC: Matita su carta e china su carta.
NDA: Mai in digitale? Tavoletta digitale?
GC: No. Esistono tutti gli originali.
NDA: Quindi ogni volta che produci [un disegno]…
GC: Scansiono…
NDA: Inchiostri e poi eventualmente colori?
GC: Esatto.
NDA: Non hai mai pensato [al digitale] per praticità, per velocità…
GC: Son più veloce. È la mia tecnica. Sono abituato.

NDA: Pensi di essere arrivato in un certo senso al “tratto giusto”, ovvero: hai deciso che c’è un tratto che ora usi per tutti i lavori? O come si vede in “Fedele alla linea” continui a cercare, sperimentare, provare…
GC: No. Continuo sempre, sennò è troppo noioso il disegno. Bisogna sempre continuare nello sviluppo. […] Dipende da quello che devi raccontare. Perché limitarsi se si può… anzi, ormai mi contraddistingue questa cosa qui. Se faccio un altro libro uguale poi la gente si preoccupa per me. [risate] “Gli è successo qualcosa? Sta male?” [risate]
Infatti il libro che sto facendo adesso è tutto tratteggi, tutto righine. È tutto tratteggiato. È molto strano per quello che devo fare. Perché quel fumetto ha bisogno di quel disegno lì. È ciò che bisogna raccontare che poi influenza il disegno.

NDA: E quando cambi stile all’interno di una storia?
GC: È perché cambia il registro del racconto. Non so, in una storia c’è il passato, o il futuro… […] Il disegno si adatta al racconto. Ha più forza così. Influenza la visione di chi lo guarda. […] Se è sempre uguale per me è noioso. Anche la realizzazione è noiosa. Il fumetto è troppo faticoso, è ripetitivo, quindi per rendere fresche le storie devi continuare a variare, a inventarti nuovi stili, nuovi modi di raccontarlo. […]

Ci sono molte tavole [di “Fedele alla linea”] che sono state apprezzate molto per la loro estetica. Soprattutto questa qui di Beslan è stata molto osannata nelle critiche, negli articoli usciti. Ma in verità ciò che interessa al lettore di libri come questo è anche quello che c’è scritto. [Ciò] che tu vuoi dire, raccontare. Questo è importante. È un fumetto, non è un libro d’arte. È un fumetto che racconta la storia di persone esistite veramente, vere.
È un fumetto con delle responsabilità.
NDA: Qual è la responsabilità principale per te?
GC: Di non prendere per il culo nessuno e di dire le cose più giuste possibili. Questo è importante, di raccontare la realtà più vicina possibile alla realtà, che è impossibile descrivere… però almeno non mentire sulle cose. Quindi il disegno deve, o può essere estetico, manierista, virtuoso, come vuoi chiamarlo, però deve avere una responsabilità sul contenuto che sta raccontando. Quindi non può prendere il sopravvento. […] [Nel “graphic journalism”] stiamo parlando di cose che hanno una loro importanza e il tuo segno non deve essere più forte del linguaggio che c’è. […]

Una delle storie di [“Fedele alla line”] era stata commissionata da Internazionale. Era su Istanbul, sulle ultime cose successe a Istanbul dopo il colpo di stato [contro Erdogan]. È stata pagata, approvata, [ma] il giorno che il giornale è andato in stampa il direttore ha deciso che era vecchia. Le informazioni che [la mia storia] conteneva per lui erano già sorpassate nel corso della settimana in cui era stata realizzata e quindi non è mai stata pubblicata. […] Nel giornalismo le notizie invecchiano, e se hai scritto una cosa che magari è stata contraddetta. Magari era vera ma poi è venuto fuori che non lo era… quando lavori sul momento, le notizie cambiano continuamente. La verità si alimenta. Può succedere che da un giorno all’altro quella persona non abbia più fatto quella cosa.

NDA: A me in “Fedele alla linea” piace una cosa che si nota, ovvero: che in molti casi [nei racconti] parti da Ravenna.
GC: Dici?
NDA: Cerchi un parallelismo o un contrasto…
GC: […] Essendo di Ravenna può essere che… a volte si deve partire da quello che conosci, no?

Nota: le due foto sono di Andrea Franzoni di Vari.china.