Comicsblog – Le ragazze nello studio di Munari: intervista a Alessandro Baronciani
I primi amori, la letteratura, il cinema dei grandi maestri, le ragazze e le opere di Bruno Munari: sono gli ingredienti principali del prossimo volume a fumetti di Alessandro Baronciani.
di Nicola D’Agostino
I primi amori, la letteratura, il cinema dei grandi maestri, le ragazze e le opere di Bruno Munari: sono gli ingredienti principali del prossimo volume a fumetti di Alessandro Baronciani.
Lungo oltre duecento pagine si intitola “Le ragazze nello studio di Munari” e come i precedenti è edito dalla Black Velvet*, che continua così il suo rapporto preferenziale con uno dei talenti più interessanti del fumetto italiano.
Ho avuto l’occasione di leggere il fumetto in anteprima e di fare qualche domanda ad Alessandro, poco prima che partisse alla volta di Lucca, dove incontrerà e farà dediche ai lettori. Purtroppo, proprio a causa della complessità grafica e tipografica, “Le ragazze nello studio di Munari” non sarà disponibile alla manifestazione ma solo a novembre. Potete ordinarlo e acquistarlo presso le vostre fumetterie e librerie specializzate di fiducia oppure preordinarlo subito dal sito della casa editrice che lo offre inizialmente con uno sconto del 15% e senza spese di spedizione.
Grafico, illustratore, fumettista, musicista: chi è Alessandro Baronciani?
Sono un illustratore, che lavora anche come grafico, dato che per anni ho lavorato come art director nelle agenzie pubblicitarie. Faccio fumetti perchè mi sono sempre piaciuti i fumetti. Vorrei fosse un lavoro ma fare fumetti non è come leggerli. Disegnarli è difficile e noioso, invece leggerli è bellissimo. Divoro fumetti da quando ero piccolo.
A sette anni chiesi a Algide, la proprietaria della edicola vicino casa, se mi prendeva con lei come aiutante. Mi facevo pagare in fumetti e così potevo leggere tutti quelli che uscivano. Ero tutto il giorno lì da lei, un po’ come adesso si sta tutto il giorno attaccati a internet, e alla fine un po’ per disperazione e affetto mi prese per tutta l’estate. Oltre a leggere fumetti imparai molto velocemente a far di conto e l’anno dopo a scuola ero il più bravo in aritmetica. Insomma: soldi e fumetti!
Com’è nato “Le ragazze nello studio di Munari”?
Da due cose diverse messe insieme. In “Fantasia” Munari spiega come nasce la creatività: prendi il vetro e la gomma e provi a vedere cosa succede se li metti insieme. Ci provi e non ti viene in mente niente. Uno è fragile e trasparente e se cade si spacca mentre l’altro rimbalza. Ci pensi e niente. Provi a sforzarti e poi inventano il plexiglass e scopri che è possibile. Si può fare.
Avevo questa storia in testa, una specie di sussidiario illustrato per ragazzi sulle storie d’amore. Un prontuario per cavarsela nelle situazioni difficili con le ragazze, perché penso che i maschietti non siano in grado di gestire le relazioni. I maschietti sono imbranati nelle relazioni.
Ci pensavo continuamente e poi c’è stata la mostra di Munari a Milano e lì, davanti alla bellissima Rotonda della Besana, ho immaginato una scena del mio libro. Poi ho fatto come in “Fantasia”: ho provato a mettere le due cose insieme. Ci provi finchè tutto comincia a funzionare a incastrarsi bene. Poi ho scritto la storia. Per la prima volta senza disegnarla. Ho fatto soltanto un soggetto. Poi ho iniziato a disegnarlo e ho scoperto che non veniva come l’avevo scritto. Ci ho messo 2 anni per definire la storia e lo storyboard. Un mese per disegnarla mentre la storia continuava ad evolversi e le pagine aumentare. Mi piaceva!
Quanto tempo ci hai messo a realizzarlo?
Ho iniziato a pensare alla storia subito dopo “Quando tutto diventò blu”. L’anno dopo ero allo stand Black Velvet davanti a Omar Martini con il soggetto in una mano e il libro Nella nebbia di Milano nell’altra. Mi ricordo di avergli detto che la storia è una cosa più o meno così: “L’uomo che amava le donne” di Truffaut + le invenzioni cartotecniche dei libri di Munari.
Un libro a fumetti su quanto è bello leggere i libri. Ci saranno delle parti in cartotecnica, fustelle, e pagine colorate, pagine che si possono toccare come in un libro di Munari. Un libro gioco. E faremo una tiratura più alta del solito (i precedenti erano andati bene e in un anno erano tornati in ristampa), soltanto una tiratura! Lo stamperemo una volta sola! Omar rispose: lo stamperemo una volta sola perchè stamparlo mi manderà in rovina!
Sono passati due anni da “Quando tutto diventò blu”. È cambiato qualcosa nel tuo approccio alle storie a fumetti di lungo respiro?
Diciamo che è cambiato tra i primi due: da “Una storia a fumetti” a “Quando tutto diventò blu”.
Nel primo cercavo modi nuovi per raccontare una storia, nel secondo invece ho provato a disegnare un fumetto a linea retta. Cioè con un inizio, uno svolgimento e un finale. In questo, invece, ho pensato che se riesco a seguire Lost riesco anche a scrivere una storia senza farmi troppi problemi su come raccontarla. Le trame sono sempre più complicate anche nei fumetti: quando tre anni fa ho iniziato a leggere Naruto l’ho fatto con wikipedia sotto gli occhi.
Oddio! Forse un po’ di problemi me li sono fatti eccome: questa estate, mentre impaginavo le tavole, leggevo e rileggevo ripetendomi che non si capiva niente. Allora sono uscito di casa e ho aspettato che passasse qualcuno che conoscevo. Trovato il malcapitato l’ho invitato a forza in casa e lo messo a leggere il libro fino a dove ero arrivato. Dopo un po’ il mio amico alza la testa dalle pagine, mi guarda, e mi chiede: come va a finire? Dimmelo ti prego!
In “Le ragazze nello studio di Munari” in un paio di occasioni il bianco e nero lascia spazio al colore. È una scelta puramente strumentale e limitata a questo volume o le prossime opere saranno sempre più a colori?
Non c’è solo il colore, ci sono pagine trasparenti, floccate, fustellate. Il libro è nato come un tributo ai libri di Munari e non solo. La vita del personaggio ruota intorno alla sua arte.
Come si può raccontare un autore senza far vedere le citazioni alle sue invenzioni mischiate nella storia? È come leggere un libro di storia dell’arte con le foto in bianco e nero. Il libro ha questa cosa affascinante che riesce a raccontare delle cose facendoti entrare in un altro posto, come dicevano in una canzone i Uochi Toki. Smetto di leggere e torno di nuovo nella realtà. Mi piace pensare che il fumetto non sia soltanto uno storyboard di un film. Deve esserci qualcosa che lo rende unico nel suo formato e Munari è stata la chiave per far girare il tutto.
* Nota: per correttezza avverto che il sottoscritto è stato ed è collaboratore della Black Velvet.
Articolo originariamente pubblicato su Comicsblog.it