Comicsblog – Filesharing illegale di fumetti su Internet – Cosa ne pensano Andrea Baricordi, Carmine di Giandomenico e Claudio Calia
Oltreoceano c’è chi si scaglia contro ogni tipo di condivisione, chi invoca iniziative legislative a protezione di autori e editori e chi invece ha abbozzato e ha fatto buon viso a cattivo gioco ottenendo attenzione e anche vendite. E da noi? Cosa ne pensa chi lavora nel mondo del fumetto?
di Nicola D’Agostino
Per cercare di capirlo ho contattato tre professionisti, Andrea Baricordi, Carmine di Giandomenico e Claudio Calia, e ho fatto loro la stessa identica domanda chiedendo di esprimere la propria posizione. La domanda è la seguente:
Posto che su Internet è in atto il filesharing illegale di alcuni fumetti italiani, secondo te questa forma di ‘pirateria’ è un danno, un’opportunità o -per ora- un fenomeno trascurabile?
Iniziamo con Andrea Baricordi, che con gli altri Kappa Boys è uno degli artefici dell’affermazione dei manga in Italia negli anni ’90 nonché cofondatore della Kappa Edizioni per cui ha firmato diverse opere come autore.
La risposta di Andrea arriva a nome di tutti i Kappa Boys:
Non vediamo come possa essere considerata un’opportunità: purtroppo, ogni albo letto ‘a sbafo’ è un albo che le case editrici non vendono.
Se la cosa si limitasse a qualche decina albi, il danno non sarebbe nemmeno rilevabile.
Ma dato che parliamo di centinaia – probabilmente migliaia – di albi letti in questo modo, il danno è immediato: senza possibilità di vendere il proprio prodotto, una casa editrice non può continuare la sua attività. Bisogna sempre ricordarsi che, nel migliore dei casi, tolte tutte le spese (diritti d’autore, lavorazione, stampa e distribuzione dell’albo) l’editore incassa circa un terzo del prezzo che appare sulla copertina. L’albo costa 3,90 euro? All’editore ne arrivano 1,30. Ma quell’incasso non lo tiene tutto per sé: lo deve usare prima di tutto per pagare le spese di struttura (affitto, stipendi, magazzino, materiali, ecc). Il vero guadagno dell’editore deriva da tutti quegli “zero virgola” che riesce a mettere insieme dopo la quantità di spese descritta.
Per cui, se la percentuale di lettori ‘aggratis’ aumenta, gli editori inizieranno a essere sempre più restii a fare questo mestiere. Sarebbe come lavorare gratis, e francamente nessuno oggi può permetterselo.Fortunatamente i prodotti di editori medio-piccoli, nella maggior parte dei casi stimolano anche un desiderio di possesso dell’oggetto ‘fisico’ del libro, e i lettori di queste case editrici fondate da appassionati lo dimostrano in continuazione. Però questo tipo di prodotti hanno anche solitamente vendite più basse, in quanto i prodotti vengono considerati ‘di nicchia’ addirittura da chi li desidera. Per cui, se anche questo tipo di pubblico iniziasse a ‘scaricare’, sarà sempre più difficile vedere nel nostro paese titoli particolari, che si distacchino dai soliti temi filo-televisivi.
Per cui, almeno per ora, il problema ci tange sì, ma in percentuale ridotta rispetto ai grandi editori. I grandi editori, infatti, hanno strutture molto più complesse e costose da mantenere, e se la vendita dei loro albi non va a coprire spese tanto voluminose, questo comporta ovviamente tagli, o – di contro – aumenti di prezzo. Come risultato, l’aumento di prezzo porta però in seguito altri lettori a scegliere la ‘via illegale’, e questo riduce ancora le vendite. E a vendite ridotte, ulteriore aumento del prezzo o calo della qualità. E via così, fino (potete fare gli scongiuri, se volete) alla chiusura della casa editrice o alla scomparsa dell’ultimo lettore.
Dunque, l’unico consiglio che posso dare a chi si ritiene un (vero) appassionato, è questo: chi vuole risparmiare, cerchi di selezionare il più possibile le sue letture; ma chi ci tiene veramente a un volume o a una serie, cerchi di acquistarlo. Facendo in questo modo, invoglierà l’editore a continuare su quella linea, evitando magari i ‘riempitivi’ inutili. E’ solo una questione di coscienza personale, nient’altro.
A Andrea ho quindi chiesto se ritiene sia il caso di combattere il filesharing o il fenomeno va dato per assunto e quindi ignorato.
“Combattere” mai. I lettori non sono nemici, nemmeno quelli che scaricano i fumetti senza acquistarli. Ma abbozzare significa anche accettare un comportamento che prima o poi porterà inevitabilmente alla morte del settore: per quanto riguarda il settore video, (fate gli scongiuri) la falce sta già calando, e lo sanno tutti. Prossimamente anche la carta stampata avrà sicuramente questo problema.
Dunque, niente lotte: preferiremmo parlare di “disabituare”.
Molti lettori, infatti, praticano la via dello ‘scaricaggio’ per pigrizia o per semplice abitudine, non certo perché sono dei criminali incalliti. Basterebbe far capire anche solo a questa parte del pubblico che un loro passaggio/ritorno ai canali ufficiali (ovvero librerie, edicole, fumetterie) consentirebbe a tutti gli editori di tornare ad abbassare i prezzi e a incrementare la qualità degli albi. Ed è fondamentale che le cose avvengano in quest’ordine, per ragioni ovvie. Anzi, matematiche.
Abbastanza preoccupato è anche Carmine di Giandomenico, autore di “Giulio Maraviglia”, “La Dottrina”, “Oudeis” e ormai affermato collaboratore della Marvel per cui ha firmato serie e progetti su Spider-Man, X-Men, Iron Man e Daredevil. Ecco la sua opinione in merito, nel suo consueto stile schietto e ironico:
Cosa ne penso? E’ difficile rispondere, non sono un opinionizta, e non ho neanche le statistiche sotto mano, le percentuali di gradimento… insomma dati concreti che riguardano un fenomeno del genere.
Se il fenomeno è dilagato, nel senso che i file scaricati iniziano a girare vorticosamente e senza controllo, il problema lo trovo grave, per alcuni aspetti semplici e concreti.
1) Il settore fumetto è gia un settore con crescita di lettori/consumatori economici pari a zero. Una situazione del genere effettivamente va a gravare sulla posizione editoriale, nel senso che ricade sull’editore, e danneggia gli autori di quel prodotto.
2) Se il fenomeno iniziasse a degenerare, ad incrementare, sarebbe preoccupante, perchè porterebbe al collasso i rientri economici che permettono di far sopravvivere editori e autori e quindi di poter produrre con costanza il fumetto interessato.
3) Ovviamente tutto questo nel caso che il fenomeno inizi a degenerare [ma] credo anche che alla fine chi vuole leggere un fumetto, sia ancora legato al cartaceo e vuole assaporare la magia dello sfogliare le pagine e soprendersi comodamente sul divano del salotto, con un bel bicchiere di cognac. Sono magie che il computer non potrà mai darti.
Almeno spero….. :)
4) Ultima cosa: penso che se iniziano questi fenomeni il mondo editoriale fumettistico dovrebbe iniziare a guardarsi intorno, a nuove formule di fruibilità e di creatività produttiva se non vuole essere fagocitato dalle nuove tecnologie di cominucazione di massa.
Esempi di questa nuova ricerca, dello sperimentare nuove formule per il fumetto ci sono e stanno iniziando ad apparire. L’esempio più lampante è lo studio Tenderini con il suo primo prototipo di fumetto in 3D interattivo.
Quindi il fumetto, fino a quando avrà persone così creative non credo possa essere divorato artisticamente, bisogna solo cercare di far svegliare gli investitori, quindi gli editori, per puntare su formule nuove oltre a quella classica in modo da combattere la pirateria offrendo un prodotto innovativo.
Antitetica e altrettanto interessante è invece la posizione di Claudio Calia, scrittore e disegnatore, autore tra gli altri dei volumi “Porto Marghera – La legge non è uguale per tutti” e “E’ primavera – Intervista a Antonio Negri” per Becco Giallo e “Caro Babbo Natale…” per Black Velvet.
Per usare le tue parole, direi una via di mezzo tra “un’opportunità” e “non mi tange”. Credo che non sia necessario, ne plausibile, “combattere” una battaglia già difficile da sostenere per le major discografiche. Considero la pirateria digitale un’evoluzione piuttosto naturale del prestito tra amici, della copia della videocassetta, della masterizzazione del cd – su cui tra l’altro paghiamo tutti una tassa preventiva a tutela dei diritti SIAE.
Come in pochi ancora fanno, penso che l’intervento più opportuno da parte di un’editore sia sfruttare il fenomeno dal punto di vista promozionale, per fare un esempio: c’è in rete la versione sottotitolata in italiano di un documentario su Alan Moore, la versione integrale tradotta di un’intervista in esso contenuta verrà pubblicata in un libro nella cui lavorazione sono tangenzialmente coinvolto. Ci sarebbero due modi di procedere: chiederne la rimozione, che in media viene sempre concessa; o, via che prediligo, semplicemente avvisare nei commenti che il testo integrale di quell’intervista è contenuto nel libro con link ad anteprima, acquisto online etc… Cioè, piuttosto che cercare di cambiare i comportamenti degli utenti, adeguarsi alle loro rinnovate esigenze e cercare di stare nei posti che frequentano con prodotti che gli interessano.
Piccola esperienza personale come autore: il mio libro rilasciato in creative commons “È primavera – intervista a Antonio Negri”, grazie proprio alla diffusione libera mi ha fatto ricevere apprezzamenti da Germania e America Latina, posti che non avrei raggiunto in altro modo. E facendo i debiti scongiuri, entro l’anno dovrebbe uscirne l’edizione in lingua inglese, che lo rilancerà ad un pubblico internazionale.
Visto anche che il supporto naturale di un fumetto è ancora la carta, ancora più che per il cinema e la musica possiamo dire che la fruizione digitale di un’opera rimane una sostanziosa anteprima del prodotto finale, ma non lo sostituisce, e se il libro ti è piaciuto quando ne hai l’occasione lo compri.
Articolo originariamente pubblicato su Comicsblog.it