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Alfredo Castelli a BilBOlBul 2015

Trascrizione dell’intervento di Castelli su Bonvi al festival bolognese del fumetto e dell’illustrazione durante la presentazione della mostra “Incubi alla bolognese”

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Bonvi l’ho conosciuto nel 1968, o forse ancora prima, a Lucca. Ricordo che faceva un terribile casino al Teatro del Giglio [dove un tempo si assegnavano i premi della manifestazione fumettistica]. Al momento mi aveva fatto un po’ paura, ho pensato che doveva essere un pazzo totale. Poi si è seduto accanto a me e ho capito che era una persona molto per bene. […] Era una persona abbastanza normale che faceva queste sue “parti” forse perché era timido. Non so definire esattamente il tipo di personalità. Faceva queste cose un po’ da gradasso, da smargiasso, perché aveva anche una grande tendenza attoriale. Ha fatto anche un film [con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia]. Sapeva recitare. […]

Passando alla visione di Bonvi [che ne ho avuto] dall’altra parte della barricata, cioè come redattore: […] Bonvi, solitamente trattato come genio e sregolatezza, in realtà sul lavoro era la persona più puntuale che io conoscessi. Se si prendeva un accordo per il giorno X, sapevi che il giorno X lui questa cosa certamente l’avrebbe fatta. E l’avrebbe fatta – l’ho visto personalmente – lavorando di notte, senza bere, perché non era vero che beveva sempre. Beveva, questo sì, in maniera smodata e scellerata quando era fuori Bologna, probabilmente per la sua timidezza, non so… A Bologna […] se gli finiva il whisky di sera non è che scendesse al Roxy Bar a prenderlo. Aspettava la mattina dopo e andava al supermercato. […]

Io credo che questa visione del Bonvi folle e sciagurato del dover fare qualcosa di eclatante a tutti i costi in fondo gli ha fatto male e siamo responsabili un po’ tutti [noi] amici di Bonvi, da Silver a me a Guccini, tutti quanti, perché siccome era divertente quello che faceva, bene o male, in fondo in fondo non dico che lo incoraggiassimo però non lo scoraggiavamo a fare quello che continuava a fare e Bonvi, mi dispiace Sofia che sei qua, questa non è una cosa gentile che dico… quando uno ha vent’anni e fa delle sciocchezze, beh è divertente. Quando lo fa a trent’anni un po’ meno. A quaranta meno ancora. E a cinquanta sei… sei un pochino pirla, per dirla in parole milanesi. Sta di fatto che alla fine Bonvi si era talmente convinto che la sua forza stava nel fare queste sciocchezze – perché alla fine sciocchezze erano – per cui ci credeva e ne soffriva.

L’ultimo periodo della sua esistenza non era contentissimo perché sapeva benissimo che a fare un certo tipo di comportamento o eri Helmut Berger (e neanche a lui è andata tanto bene) oppure facevi la figura dello sciocco. Lo sapeva benissimo ma non riusciva a tirarsi fuori da questa maschera. In realtà questa maschera era assolutamente inutile perché a Bonvi volevamo tutti quanti bene. È riuscito ad aggregare una serie di amici che continuano ad essere amici. È stata la figura che ha aggregato che ha aggregato Silver, Clod, me, Varretto, Guido De Maria, ecc. tutti attorno a questa figura aggregante e quindi non aveva il problema di avere amici seri, e non amici che lo lodavano perché in quel momento faceva un prodotto fortunato. E poi era bravissimo.

Io ho avuto il piacere e anche il dispiacere, in un certo modo, che Bonvi avesse scritto le sue ultime storie per Zona X, una rivista che curavo per la Bonelli. Ne ha scritte sette. Due sono state pubblicate […] e sono “La città” e “Maledetta Galassia”. Sono storie bellissime. Come diceva Daniele Barbieri contengono una forte dose di tragicità, una forte dose di cinisco, chiamiamolo così, in senso buono, però anche molta speranza. C’è molta dolcezza. Ci sono dei personaggi molto teneri dentro [queste storie]. Queste storie dimostrano che Bonvi non aveva bisogno di fare coglionate in giro perché stava perfettamente in piedi da solo. Noi abbiamo esagerato un po’ permettendogli di farle. […]

Sono avanzate cinque storie inedite, cinque lunghe sceneggiature, veramente molto belle. Io mi auguro che qualcuno le possa pubblicare. Io queste sceneggiature [materialmente] ce le ho, e forse ne ho dato una copia [a Sofia e Claudio Varetto] ma i diritti evidentemente sono degli aventi diritto. Sono state pagate, è vero, ma tantissimo tempo fa, e quindi non c’è più la possibilità di gestione da parte della Bonelli, sarebbe scorretto. Io invito, avendo in mano questo materiale, a farlo girare. È un vero peccato buttarle via, queste sceneggiature. Esiste anche una storia di Nick Carter, molto breve, di 8-10 pagine, scritta da Bonvi e ne sono state disegnate, non ricordo da chi, quattro pagine. Quella lì si può finire come ridere spendendo quattro soldi e mantenere quindi un ricordo di Bonvi che vada al di là delle cose buffe che faceva, del fatto che si vestiva da nazista, che faceva altre cose inizialmente divertenti, ma [mantenere] il ricordo di un professionista veramente molto bravo, a mio vedere, e tralaltro di una persona molto buona – perché lo era – che magari fingeva di non esserlo perché fingeva sempre di fare il duro ma invece era una delle poche persone veramente buone che ho conosciuto. [applausi]

Nota: l’immagine di apertura, che ritrae Claudio Varetto, Alfredo Castelli e Sofia Bonvicini, è tratta da una foto di Ermanno Tarozzi.