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Alessandro Tota e gli stili di disegno

Trascrizione dell’intervento dell’autore di fumetti Alessandro Tota il 6 marzo 2011 a Bologna durante il festival Bilbolbul.

All’assegnazione dei premi Top Ten de Lo Spazio Bianco, Tota è risultato unp dei vincitori con il suo fumetto “Yeti”, a cui fa riferimento nel discorso.

“A me risulta un po’ difficile parlare di ‘Yeti’ perché nonostante sia passato solamente un anno… un anno e tre mesi da quando l’ho consegnato, sono successe tante cose, ho fatto tante cose dopo. Ho finito un libro che non ha niente a che vedere con ‘Yeti’ da un punto di vista tematico o narrativo, o tecnico. Non ha niente a che vedere con ‘Yeti’ se non una costante del modo di lavorare che è quella di parlare di luoghi che conosco.

Non saprei dire bene cosa avevo in testa quando ho fatto Yeti. Ricordo nettamente che volevo fare qualcosa che fosse letto da più gente possibile. Era implicito questo desidero perché le cose che facevo su Canicola e le cose che faccio ancora su Canicola io le faccio soprattutto per me. Non penso al pubblico quando le faccio. […] Naturalmente spero sempre che le cose si vendano e siano lette, però non m’importa di offendere qualcuno o fare qualcosa di brutto o di sgradevole o di mostrare il fatto che io vedo certe cose del mondo in un modo inquietante. Invece per ‘Yeti’ dovevo far funzionare un sistema di racconto più semplice, senza diventare ipocrita.

La sfida era fare un libro per il grande pubblico e non fare passi indietro rispetto a quella che è poi la mia visione dell’arte per quel poco che riesco a trasmettere della mia visione del mondo attraverso il fumetto. Questa cosa di cambiare lo stile, non è che l’ho cercata. Ì…] Io non sono un disegnatore tecnicamente molto forte, non ho quel tipo di impostazione come la può avere ad esempio Francesco [Cattani, nda] che è un disegnatore molto bravo classicamente nelle anatomie, nei volumi. Io non ho questo tipo di formazione. Io sono un disegnatore di stampo puramente narrativo. Non riesco a fare un disegno che non sia per raccontare una scena precisa. Come fare un frame di un film. Ho solo questo tipo di approccio. A livello compositivo non tengo, non riesco a tenere la pagina solo come equilibrio di bianchi e neri puri, a livello grafico. Non ne sono capace.

Io devo raccontare una scena che ho vissuto o che potrei vivere eventualmente. E disegno molto nei taccuini. Di conseguenza questa cosa di disegnare tantissimo -adesso disegno un po’ meno perché lavorando col disegno quando finisco di lavorare non mi metto a disegnare, esco- ma prima disegnavo tantissimo e ci sono delle variazioni nel segno, dovute alla pratica del disegno. Queste variazioni sono secondo me l’equivalente dei toni di voce che abbiamo e se si riesce a catalogarne alcune, vedendo che queste si ripetono, è possibile declinare questo tipo di forme a seconda delle storie che si vuole raccontare. Questo può dare a ogni autore un piccolo range di gioco.

Considerando che poi nessuno di quelli che fanno fumetti è a digiuno di letteratura di generi (?) o di quelli che sono i paradigmi dei vari tipi di libro, tutti hanno […] studiato quelle che sono le forme. Intuitivamente si può arrivare a capire come sono fatti i generi. Questa cosa, questa cosa di leggere abbastanza permette di giocare un po’ con gli elementi e poi si riescono a fare delle storie. Però penso che questo effetto di piccolo stupore che nasce dal vedere libri con stili diversi si risolverà quando avrò fato un po’ di libri e si vedrà che in realtà ho dei filoni abbastanza precisi perché lavoro proprio su delle correnti precise del modo in cui funziona la mia testa bacata. Grazie. [applausi]”